L’allenatore del Benevento si racconta in esclusiva per gianlucadimarzio.com: “Le scelte migliori le ho fatte con il cuore. Adesso ho un sogno da raggiungere con il Benevento”
Un destino non facile, una strada sempre in salita. Qualcosa costantemente da dimostrare, ma non agli altri, probabilmente a se stesso. Cristian Bucchi, conosce perfettamente il significato della parola sofferenza, così come sa che i sogni bisogna guadagnarseli:
“Mi definisco un sognatore determinato”.
Testa o cuore, istinto o razionalità? Le sue scelte si riassumono in questo sottile equilibrio:
“Quando ho scelto con la testa ho sempre sbagliato”. Cordiale, disponibile, ma schivo per natura. Entriamo nel suo ufficio all’interno dello stadio Ciro Vigorito: lì é racchiuso il suo mondo. Maniacale, pignolo: “Forse troppo come dice mia moglie”. Poi leggiamo: “CRBUCCHIGOL”, L’autore? Mathias, terzo figlio dell’attuale allenatore del Benevento. Lui che al più celebre CR7 preferisce il papà, da sempre il supereroe di tutti i bambini. L’occhio diventa lucido: “Quando era piccola anche mia figlia Emily diceva sempre Bucchi gol”. Cristian, adesso è pronto a raccontarsi in esclusiva per gianlucadimarzio.com: “Il pallone è sempre stato parte di me”.
Dove giocavo da bambino?
“Al parco con mio padre, spesso andavamo a vedere delle partite, alla fine del primo tempo correvo in campo e nessuno doveva fermarmi”.
Giocava nella Sambenedettese Cristian Bucchi, era lì che cullava il suo - primo - sogno:
"Ero sempre considerato quello bravino ma non troppo”. Spesso, ha pensato di non farcela, soprattutto quando la Samb fallì: “Mi imposero di andar via, non fu un momento facile”. Così lo studio prese il sopravvento: “Scelsi una squadra di promozione vicino l’università. Sarei potuto diventare un giornalista”.
Il Settempeda è la prima scelta istintiva della carriera:
“Non c’era alcun motivo per andare lì. Dovevo prendere tre treni, era un caos. Sentivo solo che era la scelta giusta”.
Cosa ricordo?
“Restavo sempre due ore in più degli altri in campo”.
Due promozioni di fila, e 54 gol in 56 partite, gli valgono l’appellativo di “Inzaghi dei poveri”:
“Ero avvelenato, vivevo per il gol”.
Due stagione che gli cambiano la vita:
“Pieroni mi propose un contratto con il Perugia“. Tutto di corsa, quel ragazzo dai campi impolverati, si ritrova in Serie A: “Era un sogno, anche se per me non era cambiato nulla, io il calcio lo vivevo con la stessa professionalità”.
Il primo incontro con Gaucci?
“Penso che quando mi vide non sapeva neanche chi fossi”.
La carta della vita si chiama Perugia. La chance della vita Lazio:
“Il giovedì Castagner mi fece giocare titolare. Dopo la rifinitura mi comunicò che sarei stato nell’undici”.
Cosa ricordo?
“Ero scioccato. Mi chiamò mio padre chiedendomi se i giornali si fossero sbagliati ad inserire il mio nome in formazione, gli risposi di no”.Una partita indimenticabile. Non solo per l’esordio, cross di Colonnello e… : “Mi sono avventato sul pallone, dopo lo stacco vidi solo la palla andare in porta”. Gaucci? “Venne negli spogliatoio e mi disse che sarei andato in Nazionale”.
Una carriera che sembra ormai lanciata, invece… :
“Mazzone mi disse che cercavano un’attaccante più esperto”. Poi aggiunge: “Io sono un sognatore, già mi immaginavo una carriera a Perugia con la fascia da capitano”. Bucchi va a Vicenza, e vince il campionato: “Volevo restarci, ma mi riscattò il Perugia. Ci fu una litigata incredibile con Gaucci, mi disse che mi avrebbe fatto smettere di giocare a calcio”.
Questi sono gli anni più brutti della sua vita, partendo dalla vicenda del doping:
“E’ una parentesi molto dolorosa. La cosa brutta è sapere di essere innocente ma non poter far nulla per dimostrarlo”. Poi tanti prestiti ed anni altalenanti: “A Cagliari mi chiamò Ventura, ma dopo un mese credo che se ne pentì”.
Qui la vita lo mette a dura prova, Cristian si rialza ma…
“Non riuscivo a trovare la mia dimensione come calciatore. Era frustante”. Tutto cambia ancora grazie a Pieroni: “Mi chiamò per andare ad Ancona, loro erano in una situazione terribile. Io istintivamente dissi di sì, e riuscii a rimettermi in gioco”.
Cristian, sarebbe potuto restare in Serie A, invece scelse Modena:
"Sentivo che era la scelta giusta”. 41 partite, 30 gol e fusione totale con la città: “Avrei anche potuto finire la carriera lì. Dispiace non essere andati in A”. Tanti i rapporti speciali, uno su tutti con Stefano Pioli: “E’ stato l’allenatore più importante. Ha uno spessore umano incredibile”. Un ricordo? “Una volta ero con dei miei compagni e ci salutarono due donne, noi facemmo un po’ gli scemi. Il mister ci disse che erano sua moglie e la moglie del vice Murelli. Lasciamo stare”.
Per Cristian si aprono le porte del Napoli:
“Era un’occasione troppo grande”. Non fu il massimo da un punto di vista tecnico, ma Bucchi non rimpiange nulla: “Io volevo essere protagonista, ma con Reja ho sempre avuto un rapporto di amore e odio. Avrei voluto lasciare un segno diverso, ma alla fine l’importante è stato vincere”. Già per il Napoli c’è la promozione in Serie A: “Vincere lì non ha prezzo, si instaura un legame magico con la città”. Che partita ricordo? “Napoli-Juve, terzo turno di Coppa Italia. La chiamammo la partita perfetta. C’erano 70.000 spettatori, passammo noi il turno”. De Laurentiis? “Dopo la promozione gli feci un’intervista, lì capii che avrei potuto fare il giornalista”.
L'età avanza, così come anche la carriera. Cristian ottiene un'altra promozione con il Cesena:
"Quell'anno Bisoli fu incredibile. Mi fece capire che in ’90 tutti possono battere chiunque”. Poi a Pescara l’incontro con Di Francesco. Un amore a prima vista: “E’ veramente forte. Mi ha insegnato che il vero allenatore deve saper comunicare alla squadra nelle quattro mura”. Quando capii che il mio futuro sarebbe stato in panchina? “Eravamo in ritiro a Padova, dopo cena rimasi a parlare con lui, gli feci tantissime domande sul ruolo dell’allenatore. Rimasi ammaliato”.
Dal campo alla panchina, dalla Primavera del Pescara alla Serie A:
“Le 11 partite di serie A sono state una preparazione alla professione”. Il vero percorso, infatti, parte da Gubbio. La società è in sinergia con il Parma, Cristian punta ad un campionato tranquillo per poi crescere l’anno dopo. Nulla di fatto, arriva l’esonero ad un punto dai playoff. Poi la Torres, in sostituzione di Cosco: “Subentro a causa della sua malattia, era una situazione anomala”. La sua cordialità viene premiata dalla squadra, fino a quel miracolo chiamato Maceratese. Neopromossa, budget inesistente, campo non omologato: Il risultato? “Eravamo un mix esplosivo e avvelenato che sfiorò la Serie B”. Eppure quell’anno non mancarono le problematiche: “Con la presidentessa ho fatto delle litigate incredibili. Ogni giorno c’erano telefonate infinite per cose inesistenti”.
Ancora il Perugia, nella sua vita, una piazza speciale:
“E’ stato fondamentale Goretti. Lì sono nato come calciatore, era la squadra giusta al momento giusto. Fu un grande anno”. Anche qui la promozione sfugge ai playoff: “Quel Benevento doveva andare in A, avremmo potuto anche giocare per due giorni di fila”.
Per Cristian si aprono le porte della Serie A: arriva il Sassuolo:
"Avevo parlato con altre società, e quella che sentivo più mia era il Bari. Sassuolo è stata una scelta di testa”. Sponsorizzato da Di Francesco, non si è mai sentito al posto giusto: “Sono stato scelto per le mie idee, ma era una squadra che non poteva realizzarle”. Il motivo? “Eravamo intrappolati in noi stessi. Era una squadra abituata a lavorare in un certo modo, io volevo lavorare diversamente ed aprire un nuovo ciclo. Bisognava trovare un punto d’incontro”. Il punto d’incontro arriva con il cambio modulo, ma gli infortuni obbligano ad un ritorno al passato: “Ci siamo ritrovati in un 4-3-3 ibrido, non era né carne né pesce. Ad un certo punto abbiamo capito che bisognava cambiare molto di più”. Poi aggiunge: “E’ stato un esonero che mi ha insegnato tanto”.
Così arriva il Benevento. Il cuore dice subito di sì:
"Io al primo appuntamento mi sono sentito subito l’allenatore del Benevento. Non conoscevo Pasquale Foggia, ma é scattata subito un alchimia speciale. Mi sono sentito parte di questa famiglia”. Una famiglia, proprio quella che Bucchi cercava: “Il presidente mi ha fatto avvertire quell’atmosfera di cui avevo bisogno. E’ una persona di una semplicità unica. E’ il padre di tutti, nessuno escluso”. Inizialmente però, la squadra e l’ambiente non trovano il giusto ritmo: “Si viveva un momento particolare. Questo é il secondo campionato nella storia del Benevento in B, dopo il primo nella storia di A. Era una cosa nuova per tutti”. C’era bisogno di ricostruire: “Questa è una società che vuole vincere per voglia, ambizione e strutture, però bisognava saper ripartire”. Bucchi ricorda: “Abbiamo provato ad affrontare il campionato sull’aspetto tecnico. C’era un dominio territoriale, ma soffrivamo troppo. Eravamo troppo fragili, e non saremmo andati lontano”. Il progetto, quindi, cambia le sue radici: “Peccavamo di carattere, e abbiamo lavorato sulla mentalità. Ci è voluto più tempo del previsto, ma ora siamo pronti”. Il momento più brutto?
“La sconfitta di La Spezia, avevo sensazioni preoccupanti, ma ero a conoscenza della totale fiducia della società. Se fossi stato io il problema mi sarei dimesso”. La svolta? “Palermo. Dissi ai ragazzi che quella sera sarebbe scesa in campo una grande squadra. Eravamo noi”. Adesso tutto è cambiato il Benevento è pronto a giocarsi qualcosa di importante: “Ora sento mia questa squadra”. Gli ottimi risultati raggiunti permettono di cullare quel sogno chiamato Serie A: “E’ un sogno che vogliamo raggiungere con ambizione ma senza assilli. C’è una fusione totale tra pubblico e squadra. La nostra gente ha capito il nostro senso di appartenenza”.
Un contratto in scadenza a giugno 2019, e tanti occhi, piacevolmente puntati su di lui. Interesse, e attestati di stima che fanno piacere, ma che appartengono a due facce della stessa medaglia: “Le voci fanno piacere sarei ipocrita, ma dall’altra parte resto concentrato. In estate non abbiamo parlato di soldi, io avevo un anno di contratto a Sassuolo e sono venuto con un anno di contratto. Il mio obiettivo non era contrattuale ma il legarmi a delle persone che avessero ambizione ed idee. Sono qui per dimostrare qualcosa a me stesso e raggiungere un obiettivo importante”.
Insomma, la Serie A nel mirino, in attesa della prossima scelta. Cuore e istinto: tutto questo è Cristian Bucchi. Perché alla fine definirsi sognatori determinati, è solo una caratteristica in più per raggiungere obiettivi sempre più grandi.