Stirpe, Frosinone: «Una stagione che va spalmata in due anni: sennò il calcio muore»

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Prima voce fuori dal coro, la raccoglie la Gazzetta dello Sport:

Maurizio Stirpe, presidente del Frosinone e vice-presidente di Confindustria, è uno degli imprenditori più illuminati del nostro calcio, uno dei più autorevoli in Lega B anche se spesso non ne ha condiviso le scelte. Oggi le sue riflessioni su questo dramma sono molto profonde. Da ascoltare.
 
Stirpe, come sta vivendo questo momento?
«Con molta preoccupazione. Come imprenditore, come rappresentante degli interessi di molte imprese e come uomo di
calcio. E’ una situazione drammatica, della quale non abbiamo ancora capito la profondità e non vediamo la via d’uscita».
 
Tre temi: salute, economia e calcio. Da cosa partiamo?
«La salute, la cosa più importante. I bollettini quotidiani sono di guerra, bisogna ringraziare i medici, il personale sanitario e tutti quelli che lavorano correndo rischi inenarrabili, speriamo che gli strumenti adottati funzionino».
 
A livello economico un danno simile ha precedenti?
«Si sta determinando una crisi di portata biblica, non paragonabile alle precedenti, nemmeno quelle da eventi bellici».
 
Soluzioni?
«Bisogna agire su tre fronti: la fruizione di tutti gli ammortizzatori sociali per non far mancare il sostegno alle famiglie,
garantire la liquidità al mondo delle imprese da parte del sistema bancario garantito dallo Stato, postergare in blocco i
termini delle tasse alle aziende che non stanno fatturando».
 
Un presidente oggi pensa alle sue aziende, anche se la società di calcio dovrebbe essere una di queste.
«Io sono preoccupato per tutto. Qui è stata interrotta totalmente l’attività, quindi quei tre fronti devono valere anche per
il calcio, anzi deve essere uno dei primi al quale applicarli».
Poi c’è la richiesta di taglio stipendi. E’ giusto?
«Se si cerca di far ripartire i campionati non potrà essere chiesto. Ma se non si riparte è evidente che bisogna chiedere il blocco, anche delle tasse».
La stagione può ripartire?
«Molto difficile. Se si sposa la teoria di finire a luglio sarebbe un problema per la stagione successiva. E poi si potrebbe
giocare solo a porte chiuse, quindi mortificando lo sport».
In qualche modo si dovrà pur ricominciare...
«Certo, bisogna spalmare questa stagione in due, ossia ripartire da dove si era finito, ma solo quando ci saranno le condizioni di sicurezza. Questa stagione si deve chiudere al 30 giugno 2021, traslando tutti i contratti di un anno: i tesserati così prendono in due anni lo stipendio di uno, avendo lavorato solo un anno».
 
E chi va a scadenza di contratto?
«Non cambia nulla, ci andrà il 30 giugno 2021. Tutti i contratti si allungano di un anno».
Sponsor, tifosi e tv?
«Si congela tutto, entrate e uscite, e si riattivano quando si riparte. Lo Stato riavrà le sue tasse, i giocatori i loro stipendi, i tifosi avranno già gli abbonamenti e gli sponsor i contratti.
Dopo i rinvii di Europei e Olimpiadi è la cosa migliore».
Una proposta da analizzare.
«Vede, leggo proposte di fare solo due promozioni in A e altre cose astruse: purtroppo ci sono teste interessate a portare a proprio vantaggio anche le situazioni più drammatiche.
Noi oggi saremmo terzi, quindi la A spetterebbe anche a noi.
Ma dobbiamo superare queste questioni».
Qualcuno alla fine rimarrà scontento, non pensa?
«Può darsi, ma se si fanno slittare questi tornei è la cosa migliore. Sono stati interrotti per la salute pubblica, devono riprendere quando il problema sarà risolto e, se bisogna aspettare un anno, aspetteremo. Come si può pensare di ripartire ad agosto o settembre? A porte chiuse? Sarebbe la fine del calcio, con scarso valore a livello economico. Tra un anno il calcio sarebbe più apprezzato».
Ma il calcio si può permettere di stare un anno fermo?
«Intanto lo Stato deve fare la sua parte, come per tutte le imprese.
E poi oggi il calcio non ha valore. Se si riprende in modo frettoloso, si rischia di implodere.
Bisogna sfruttare questi mesi di attesa per mettere mano a tutto il sistema. E lo devono fare le leghe europee, la Uefa deve generare coesione».
Cosa che non c’è nemmeno tra le leghe in Italia...
«Assolutamente. Ma questa crisi è destinata a cambiare molti nostri atteggiamenti e deve farci riflettere. Perdiamo troppo tempo in discussioni oziose, senza rispetto e considerazione per il movimento».
La Lega B ha presentato una sorta di “piano Marshall”, la Figc l’ha bacchettata.
«E’ giusto che una Lega come la B debba proporre, ma ogni cosa va condivisa solo con la federazione, perché sarà lei a stilare un unico progetto».
A Frosinone avete fatto da qualche anno lo stadio nuovo: da mossa d’avanguardia, può diventare un boomerang?
«La pandemia oggi ti fa vedere tutto in modo diverso. Con il senno di poi dico che sarebbe stato da evitare un investimento
simile, ma chi poteva immaginare una cosa del genere? Lo stadio c’è e ci sarà, sperando che si recuperino le condizioni per riportarci i tifosi».
E chi oggi ha in testa progetti simili?
«Penso che oggi tutti si debbano fermare. Non solo per gli stadi. Prima usciamo dalla fase acuta, poi vediamo».
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