Lunga chiacchierata del patron Oreste Vigorito cn Nicola Binda giornalista de lLa Gazzetta dello Sport:
Oreste Vigorito vede sempre positivo.
Anche la quarantena: «Sono a casa a Napoli, posso fare pasti regolari e ginnastica».
La Serie A lo aspetta, il suo Benevento ha dominato la B. Non ha fretta. «Prima capiamo dov’è la A... Ci sono troppe incertezze. Sono abituato a concentrarmi
sulle cose che dipendono da me, non dagli altri».
Presidente, è meglio avere la A a tavolino o finire il campionato
quando si potrà?
«Sul campo l’abbiamo meritata, i 23 punti sulla terza non sarebbero mai stati colmati, non mi sentirei in colpa se non saremo promossi sul campo. Riprendere sarebbe un bene per il sistema, e nessuno potrà obiettare ai verdetti».
Se annullano la stagione per voi sarebbe una beffa atroce...
«Sarebbe un’ingiustizia. Si aprirebbero contenziosi con ripercussioni su tutti i campionati. Meglio finire, per la regolarità. La sicurezza si ritroverà tra qualche anno, non tra qualche mese. E attenzione: il calcio è un’azienda, con un indotto e migliaia di dipendenti».
Avete il monte ingaggi più alto. I soldi sono tutto?
«Non è la prima volta e non sempre abbiamo vinto. L’anno scorso abbiamo perso la semifinale col Cittadella che aveva gli stipendi più bassi: in campo
vanno giocatori, non assegni.
Comunque nel conteggio ci sono anche stipendi di giocatori che avevamo preso in A e non ci sono più. E’ una stortura del calcio: i licenziamenti per giusta
causa non esistono».
In Serie A non è soltanto una questione di soldi...
«Assolutamente, serve quello che dice il nostro d.s. Foggia: una squadra non è una sommatoria di giocatori ma, come gli atomi di Democrito o di Leibniz,
corpi che vagano in uno spazio e si cercano attraendosi.
Chi viene qui a lavorare, giocatori o collaboratori, sa che deve formare una piramide, che si mantiene in equilibrio perché uno aiuta l’altro».
Inzaghi avrebbe avuto il rinnovo del contratto in caso di promozione, ma voi non avete aspettato il verdetto.
«L’accordo c’era da novembre, ma per scaramanzia aspettavamo.
Inzaghi ha portato la mentalità vincente, la ferocia di quando giocava, la concentrazione anche fuori dal campo».
Avete un rapporto molto umano, quasi padre e figlio.
«Inzaghi potrebbe girare in Ferrari e campare di rendita e d’immagine. Invece la sua famiglia ha gli stessi valori della mia e c’è un feeling che va oltre il calcio. Mi era accaduto anche con De Zerbi, anche se Inzaghi è un torrente di montagna di giorno, e De Zerbi di notte: la stessa buona acqua, ma non
sempre si vede».
Chi è meglio tra i due?
«L’impegno di un uomo non è vincere, ma provare a vincere: mi piacciono per questo, vogliono gratificare i loro sogni.
Non è questione di soldi, ma di sogni che li fanno realizzare».
Come preparate la A?
«Volevamo risalire in tre anni e questo è il secondo. Il vantaggio in classifica ci aveva consentito di portarci avanti. Foggia ci lavora da quando siamo
retrocessi e con Inzaghi ha fatto un piano con 3 prime scelte, se non arrivano c’è un piano B con 4. Tutti giocatori esperti di A, con voglia di lottare e che
non facciano un passo indietro nemmeno per prendere la rincorsa, come diceva il Che».
Obiettivi?
«Dobbiamo essere come il Padova di Rocco: quando lo dovevano affrontare, tutti lo temevano.
O come l’Avellino dei 10 anni di A, squadre che sanno che devono dare qualcosa in più. L’orizzonte è il limite dove arriva lo sguardo, ma per me
quello è il punto di partenza.
Non ci deve essere un solo traguardo, ma più traguardi, uno dopo l’altro. Quindi prima cercheremo la salvezza, poi di assestarci e crescere ancora».
Com’è cambiato il suo club rispetto alla prima A?
«Abbiamo 70 dipendenti come allora, ma è cresciuta la mentalità.
Ci manca un centro sportivo, siamo migliorati nel resto. Una società deve essere di A anche se è nei dilettanti».
Quali errori non ripeterete?
«Era stato troppo facile arrivarci. Otto anni di C, poi la A in 12 mesi. Pensavamo che quella fosse casa nostra, sono stato riconoscente con chi aveva meritato la promozione, ma questo ci ha fregato. E abbiamo buttato via i mesi da agosto a dicembre. Quando a gennaio con De Zerbi abbiamo preso Sandro, Sagna, Diabatè e Guilherme è cominciato il nostro campionato. Sarebbe stato più comodo risparmiare una ventina di milioni e tornare sereni in B, invece ci siamo impegnati fino all’ultimo e la gente ci ha applaudito il giorno della retrocessione.
Ci ha aiutato, e in B abbiamo aumentato il numero degli abbonati».
Anche se la testa è in A, lei a livello politico è un punto di
riferimento alla Lega B.
«Io credo nel calcio, questa disgrazia invece di dividerci ci deve unire. Le leghe servono per diritti soggettivi, ma a livello oggettivo il calcio è uguale per tutti. La gente guarda le partite per staccare un paio d’ore, discute e sogna, non dimentichiamocelo.
Serie A e B sono facce dello stesso mondo, serve interscambio».
In questi mesi di vuoto, quali riforme si devono varare?
«Non è compito mio, ma se dai da mangiare al figlio più grande, non puoi non darlo al più piccolo. Al calcio serve una riduzione delle diseguaglianze
economiche, giocare con le Nike o scalzi non è la stessa cosa.
In porta puoi tirare bene o male, ma tutti lo devono fare con le scarpe uguali».